Museo Ebraico di Lecce - Palazzo Taurino

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IL SOGNO NELLA BIBBIA: UN PERCORSO PER TESTI E IMMAGINI
In occasione della Giornata della Cultura Ebraica e in concomitanza con la mostra di opere grafiche di Emanuele Luzzati La vita è una fiaba, inaugurata lo scorso giugno, il Museo Ebraico di Lecce organizza una mostra di opere a stampa e dipinti eseguiti tra il XVI e il XIX secolo. L’iniziativa, che pone l’accento sul ruolo del testo biblico e delle sue versioni nell’evoluzione culturale dell’Italia moderna, prende le mosse dal tema prescelto quest’anno per la Giornata Europea della Cultura Ebraica: il sogno.

Le opere esposte sono il risultato di un’indagine capillare nelle collezioni pubbliche e private del Salento. Come evidenziato nel percorso museale, si osserva la quasi totale scomparsa di tracce dirette della cultura ebraica che, fino all’inizio del XVI secolo, aveva svolto un ruolo estremamente significativo nel territorio. L’eliminazione di questa componente essenziale della società salentina al termine del Medioevo, a seguito dell’espulsione delle comunità ebraiche dall’intera Italia meridionale alla metà del Cinquecento, coincise quasi paradossalmente con l’epoca rinascimentale, durante la quale fu particolarmente vivo l’interesse cristiano per la cultura ebraica. Anche per contrastare lo spirito della Riforma, che fondava molte delle sue scelte su una lettura filologica del testo biblico, la Chiesa cattolica favorì lo studio delle lingue della Scrittura all’interno di collegi e seminari. Congregazioni religiose ed eruditi accolsero nelle loro raccolte esemplari a stampa di testi biblici pubblicati in varie lingue.

Alle opere a stampa viene affiancata una piccola ma suggestiva selezione di dipinti di soggetto biblico gentilmente prestati dal collezionista leccese Luciano Treggiari.



Il sogno nella Bibbia – un percorso per testi e immagini


È un sogno ad avviare il dialogo filosofico Sèfer ha-Kuzarì (Il libro del Khàzaro), l’opera più nota del grande pensatore e poeta iberico medievale Yehudà ha-Lewi (1140-1190 ca.). Il re che dà il titolo al trattato - originariamente composto in lingua araba - sogna più volte un angelo che gli rivela la sua prossima conversione religiosa.
Nella tradizione ebraica, fin dall’antichità, le comunicazioni tra Dio e l’uomo avvengono tramite sogni. In stato di sonno l’anima lascia libera la propria facoltà immaginativa – spiegano i pensatori aristotelici medievali – ed essa recepisce messaggi dall’alto che non sarebbero compresi dalla facoltà razionale in stato di veglia. Si tratta di una spiegazione fisiologica derivata dall’incontro con la speculazione ellenistica ma la tradizione ebraica la collega alla propria concezione dei mediatori angelici. I maestri della letteratura rabbinica insegnano che niente accade all’uomo che non gli sia stato prima rivelato in sogno e che una vita senza sogni non è degna di essere vissuta. Il trattato talmudico Berakhòt (Benedizioni), una vera e propria miniera di interpretazioni di sogni, registra una splendida preghiera da recitarsi durante la benedizione sacerdotale. Ecco l’inizio: “Signore dell’universo, io sono Tuo e Tuoi sono i miei sogni...” (Berakot 55b).
Fin dalle fasi redazionali più antiche del testo biblico, gli angeli sono messaggeri divini – forse in origine fenomeni numinosi sovrannaturali – che comunicano eventi futuri. La loro funzione è analoga a quella del sogno. Non sorprende dunque che numerosi episodi delle sezioni più dichiaratamente narrative della Bibbia ebraica presentino angeli che appaiono all’improvviso, suscitando sgomento e trepidazione – il fascinum della divinità – e preannunciando situazioni inattese e sconvolgenti l’ordine naturale delle cose, come nel caso dei tre angeli che si presentano ad Abramo alle querce di Mamre (Gen. 18,1-15). L’episodio ha tutto il sapore del sogno: i tre messaggeri appaiono dal nulla e la loro voce triplice diventa ben presto la voce unica del Signore.
Un episodio altrettanto noto in cui la visione di angeli è associata al sogno è quello in cui il patriarca Giacobbe si rende conto della presenza di Dio nel luogo in cui si è addormentato. La scala che gli appare in sogno è animata da esseri angelici che salgono e scendono, collegando terra e cielo, mondo umano e divino. Ma anche nel caso di Giacobbe le armonie angeliche si trasformano subito nell’unica voce divina (Gen. 28,12-13). Il molteplice si fa uno, come le pietre che il patriarca si è posto sotto il capo prima di dormire diventano al suo risveglio un’unica pietra (si veda l’originale ebraico di Gen. 28,11; 28,18). Un angelo è l’essere misterioso contro cui combatte di notte Giacobbe per ottenere il riconoscimento della propria missione di capostipite delle tribù d’Israele (Gen. 32,23-33). È grazie ai sogni che egli scopre il senso della presenza di Dio nella propria vita e ne percepisce la speciale protezione (Gen. 31,10-11).
La nostra mostra prende le mosse dal sogno di Giacobbe e non a caso: l’unica iscrizione ebraica di età medievale conservatasi a Lecce, benché mutila, riporta le parole ebraiche del patriarca al suo risveglio: “En ze ki im bet El[ohim]”, “Questa non è altro che la casa di Dio” (Gen. 28,17). Si tratta di una lapide incisa nel XV secolo con eleganti caratteri ebraici: probabilmente decorava l’aula di una sinagoga leccese, forse quella convertita in chiesa alla fine del ’400 e sulla quale sorse il palazzo che attualmente ospita il Museo Ebraico. Pare opportuno sottolineare questa sorprendente coincidenza del testo dell’epigrafe, murata nei sotterranei di palazzo Adorno, a breve distanza dal Museo, e il tema centrale della Giornata Europea della Cultura Ebraica 2019.
Benché il sogno di Giacobbe abbia enorme rilievo nella storia d’Israele e nell’interpretazione cristiana del testo ebraico, l’elemento del sogno è stato apprezzato dagli interpreti delle Scritture soprattutto a partire dalle vicende di uno dei figli dell’antico patriarca, Giuseppe, “sognatore per eccellenza” (Gen. 37,19), “interprete di misteri” (Gen. 41,45). Nell’ampia sezione narrativa che conclude il libro della Genesi (capp. 37-45) il termine ebraico halòm, “sogno”, ricorre più di venti volte. Eppure, nelle storie di Giuseppe non è l’intervento di messaggeri divini a manifestare la sua elezione da parte di Dio. Fin da giovane, il futuro del figlio prediletto di Giacobbe si svela attraverso visioni oniriche che sono l’elemento scatenante dell’azione drammatica, come in ogni fiaba o romanzo che si rispetti. I sogni stimolano l’invidia dei fratelli e la loro volontà di vendicarsi contro il fratello minore. A causa dei sogni, il protagonista viene trasportato prigioniero in Egitto dove – ancora in virtù della sua indiscussa abilità oneiromantica – acquista prestigio smisurato dapprima in un alto contesto sociale, poi in prigione (Gen. 39, 20-21) e, infine, agli occhi dello stesso monarca Faraone, che lo eleva ai più alti ranghi del regno. Le vicende di Giuseppe, dal sapore così fiabesco, sono quasi certamente un prodotto redazionale tardo. Forse compilate sulla base di leggende o tradizioni folkloriche più antiche, le storie del patriarca manifestano una forte affinità con temi letterari ellenistici.
I sogni al centro della sezione finale del libro della Genesi sono simbolici, come gli oracoli greci e come i rituali diffusi in Egitto e Babilonia, diversamente dalle rivelazioni angeliche dischiuse ad altri patriarchi biblici, all’interno delle quali il futuro è presentato in termini espliciti. Analoga a quella di Giuseppe è l’ambientazione “esotica” del libro di Daniele, l’opera più tarda dell’intero corpus biblico. Il profeta è un giovane sognatore e interprete di sogni, attraverso i quali comprende l'azione salvifica di Dio nella storia (Dan. 2,24; 4,16; 7,1). Così il libro di Ester, di ambientazione babilonese-persiana, si apre con il sogno premonitore di Mardocheo e si chiude, a fatti avvenuti, con la decifrazione del messaggio iniziale (Est. 1; 10). Ma il sogno e la sua interpretazione conclusiva sono trasmessi solo dalla versione greca del libro biblico e sono assenti in quella ebraica.
Pare significativo che anche nel Nuovo Testamento le manifestazioni di Dio all’uomo si realizzino attraverso l’intervento di mediatori angelici o di sogni. In particolare, il sogno come mezzo di rivelazione ricorre nei primi capitoli e al termine del Vangelo di Matteo. Dio si rivela in sogno, attraverso la consueta mediazione angelica, a un altro Giuseppe riguardo al concepimento di Gesù, alla fuga in Egitto, al ritorno dall'Egitto e alla scelta di abitare a Nazareth, in Galilea (Matt. 1,20;24; 2,12;19;22). Forse non sarà stato casuale che il Messia figlio di Giuseppe (ben Yosef, secondo la tradizione ebraica) sia stato trasportato in Egitto grazie a un sogno, come l’antico patriarca figlio di Giacobbe, omonimo del padre putativo di Gesù.

Fabrizio Lelli







 
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